Dottore, mettiamoci nei panni di chi decide di avviare un percorso con un professionista della nutrizione. Stando alla “vox populi”, in occasione della prima visita riccorrono spesso i medesimi quesiti. Glieli sottopongo di seguito, anche per sfatare alcuni miti: “Perchè è così facile riprendere peso?”; “Perchè appena mangio un pò di più riprendo chili rapidamente?”; “Perchè è più facile ingrassare che dimagrire?”

Dott. Enrico Piazza
Una delle prime frasi che sentii dal mio professore di fisiologia ai tempi dell’Università fu: “Ragazzi ricordate: un obeso dimagrito, anche se dimagrisce, resta pur sempre un obeso, almeno nel breve termine di qualche anno”. Nel giro di alcuni mesi compresi pienamente il significato di questa affermazione. Il sovrappeso, infatti, crea nel corpo una situazione metabolica molto particolare e non facilmente sovvertibile.
In che senso?
Ad un aumento di peso corrisponde anche un fenomeno di proliferazione delle cellule adipose. Fenomeno scientificamente definito iperplasia degli adipociti. Un tempo si pensava che questo fenomeno perdurasse per i primi 11 anni di vita. Per conseguenza, stando a questa considerazione, si riteneva che una variazione del quantitativo di cellule adipose non fosse opera così improba ,essendo tali cellule presenti in misura fissa e non variabile in quanto sviluppate in un periodo limitato. Con gli anni, invece, la ricerca scientifica è arrivata alla conclusione che il sistema di proliferazione dell’adipe continua ad accrescersi anche nell’adolescenza e nell’età adulta.
In termini pratici cosa ha comportato questo cambiamento di prospettiva?
Sicuramente una variazione della metodologia di lavoro. Oggi è acclarato che il dimagramento debba essere modellato su una visione sistemica del paziente che tenga conto delle ultime risultanze degli studi scientifici.
Quali sono i rischi collegati al meccanismo sopra citato?
Un maggior numero di cellule adipose significa avere a disposizione una maggiore superficie in cui immagazzinare grasso in seguito a dieta ipercalorica. Peraltro il tessuto adiposo è considerato alla stregua di un organo secernente altre sostanze, tra cui cellule endoteliali, nervose e immunitarie. Queste cellule contribuiscono all’attivazione flogistica ed alla produzione di citochine proinfiammatorie come ad esempio il fattore di necrosi tumorale (TNF alfa), da cui consegue uno stato di insulino-resistenza che è alla base del diabete mellito di tipo 2 e della sindrome metabolica nello sviluppo delle malattie cardiovascolari. Pertanto il fattore alimentare risulta fondamentale per prevenire l’insorgere delle patologie legate ad una costante proliferazione delle cellule infiammatorie legate agli adipociti.
E’ possibile stravolgere un quadro compromesso da questa “deriva cellulare”?
Si’, ma occorre tempo e costanza. Bisogna ridurre al minimo la quantità di tessuto adiposo e far assestare il corpo a quella quantità, migliorando la composizione corporea e incrementando il tessuto muscolare grazie ad un cambiamento dello stile di vita (alimentazione, attività fisica, sonno, stress). In primis, col supporto di un professionista, è necessario intraprendere un percorso di fitness modellato sulle esigenze e le possibilità del paziente. Non ci sono format precostituiti. In qualunque circostanza è possibile trovare delle soluzioni su misura. L’importante è essere costanti, nell’attività fisica ma anche nell’alimentazione. Troppo spesso sento dire frasi come “Dottore non ho tempo per allenarmi”, “Dottore non ho tempo per cucinare”. Per me sono solo alibi con cui ci si “autoinganna” per non intraprendere la strada del cambiamento. Basta 1 ora al giorno tra allenamento e preparazione dei pasti personalizzati per raggiungere un obiettivo. Solo 1 ora al giorno! Vi sembra troppo?